Pazienti odontoiatrici con bisogni speciali

I pazienti con bisogni speciali possono essere classificati, secondo il:

  • grado di collaborazione
  • grado di autonomia

nelle seguenti categorie:

  • Paziente ansioso, poco collaborante
  • Scarsamente collaborante e scarsamente autonomo
  • Pazienti che presentano condizioni di fragilità e/o vulnerabilità sanitaria
  • Pazienti non collaboranti
  • Pazienti totalmente non collaboranti

Il paziente “ansioso”, poco collaborante

L’ansia e la paura dentale sono emozioni comuni, che si provano quando ci si reca la dentista, ma che possono essere gestibili, a differenza della vera e propria fobia.

L’ansia e la paura sono spesso correlate all’idea del dolore che si potrebbe provare durante le cure dentali a causa di una precedente esperienza negativa sperimentata dal dentista, o dalla sua rappresentazione mentale dovuta a racconti di altri o a pura immaginazione.

Il dolore in odontoiatria, a differenza di quasi tutte le altre banche mediche e chirurgiche, è in concreto annullato e tenuto sotto controllo dall’anestesia locale, che è di solito molto efficace.

L’anestesia locale può essere inefficace soltanto in alcuni casi, molto rari:

  • Infiammazione/infezione acuta
  • Tecnica operativa errata del dentista
  • Allergia od intolleranza al farmaco anestetico
  • Fobia dell’ago
  • Paura di soffocamento dovuta a un’esperienza precedente in cui il farmaco anestetico è fuoriuscito inavvertitamente ed ha provocato una sensazione di costrizione alla gola.
  • Paura del senso d’intorpidimento causato dal farmaco anestetico nella zona desensibilizzata sempre dovuta a un’esperienza pregressa.

Globalmente l’ansia e la paura dentale hanno una prevalenza del 15,3% e l’ansia e la paura dentale elevata, il 12,4%, per un totale del 27,7%.

In tali situazioni la prima scelta è rappresentata dall’ansiolisi (sedazione cosciente).

L’ansia e la paura dentale devono essere analizzate e misurate in base all’evidenza scientifica(scala MDAS, VAS, ecc.) ed in base al risultato attuata una determinata strategia ansiolitica (sedativa) minimamente-invasiva:

  • Comportamentale
  • Parenterale (soluzione per via intramuscolare o endovenosa) con benzodiazepine.

In tutti questi casi il paziente rimane cosciente, vigile, non è addormentato.

Scarsamente collaboranti e autonomi

In questa categoria rientrano quei pazienti, che presentano una scarsa “resilienza” clinica, una diminuita compliance, cioè una ridotta capacità di affrontare situazioni cliniche di una determinata difficoltà. Tali situazioni dipendono dai seguenti fattori:

  1. Età del paziente
  2. Durata dell’intervento
  3. Intensità e complessità dell’intervento
  4. Durata del piano di trattamento

Una bambina può avere una difficoltà a estrarre un dente soprannumerario oppure a rimuovere quattro premolari permanenti ai fini ortodontici, così come un adolescente può avere un disagio nella disinclusione bilaterale di due canini permanenti inclusi oppure nell’estrazione di tutte e 4 le gemme dei denti del giudizio insieme. La giovane età può essere quindi un ostacolo a eseguire terapie di chirurgia orale, soprattutto multiple.

Per un paziente adulto può essere particolarmente complesso essere sottoposto a un grande rialzo del pavimento del seno mascellare per via laterale bilateralmente con posizionamento contestuale di impianti dentali, così come potrebbe essere pesante essere sottoposto ad una bonifica con estrazioni dentali multiple e contestuale inserimento di quattro impianti dentali (post-estrattivi immediati) con la tecnica all-on-4.

Un soggetto adulto con un piano di trattamento che prevede prestazioni odontoiatriche multiple e che ha un’elevata aspettativa sia emotiva che soprattutto temporale, potrebbe trovare difficoltà a sottoporsi alle cure dentali.

Questi tipi di pazienti nella nostra esperienza rientrano anch’essi nella condizione di bisogno speciale, in quanto risulterebbe più difficile del normale aderire in modo efficace al piano di cura odontoiatrico.

Pazienti che presentano condizioni di fragilità e/o vulnerabilità sanitaria

la presa in carico deve tener conto delle particolari precauzioni, che vanno poste in funzione delle patologie associate che costituiscono l’elemento di aumentato rischio alle cure.

In questa categoria classicamente rientrano i pazienti con fragilità clinica e vulnerabilità sanitaria.

  1. In attesa di Trapianto o post-trapianto
  2. Stati di Immunodeficienza
  3. Cardiopatie
  4. Patologie Oncologiche ed Ematologiche in trattamento con radioterapia o chemioterapia
  5. Emofilia od altre patologie emocoagulative

Nei pazienti affetti da tali gravi malattie, le condizioni di salute potrebbero essere gravemente pregiudicate da una patologia odontoiatrica concomitante, al punto che il mancato accesso alle cure odontoiatriche potrebbe mettere a repentaglio la prognosi “quoad vitam” dei soggetti.

Facciamo rientrare tutti i soggetti con fragilità sanitaria, in altre parole con un rischio clinico elevato, con comorbilità, quali ad esempio:

  1. Pazienti con cardiopatie (Sindrome di Brugada, sindrome del QT lungo, Sindrome di Takotsubo, ecc.)
  2. Pazienti con malattie ematologiche (Fattore V di Leiden, Trombofilia congenita, ecc.) j) Pazienti con malattie polmonari (Enfisema Polmonare, ecc.)
  3. Pazienti con malattie allergiche
  4. Pazienti in terapia con anticoagulanti orali (TAO) e antiaggreganti
  5. Pazienti in terapia con bifosfonati od anticorpi monoclonali
  6. Pazienti in radio-chemioterapia

Quindi i pazienti con bisogni speciali rappresentano una platea più ampia di quella dei soggetti affetti classicamente da disabilità.

Nei pazienti “fragili” collaboranti e autonomi, che presentano un determinato rischio clinico per una o più patologie sistemiche, deve essere formulata una diagnosi scrupolosa e stabilita con attenzione l’indicazione clinica all’utilizzo di una tecnica anestesiologica particolare valutando il Rischio Anestesiologico (ASA).

I pazienti in classe ASA 2 (con patologia sistemica di media entità) dovrebbero essere trattati sempre con tecniche ansiolitiche, che giungano eventualmente fino alla sedazione endovenosa cosciente attuata nello studio dentistico.

Gli stessi pazienti ASA 2 potrebbero essere trattati anche con la sedazione endovenosa profonda in respiro spontaneo attuata esclusivamente dall’anestesista in un setting per la chirurgia ambulatoriale, diverso quindi dallo studio dentistico, con osservazione post- operatoria breve (massimo 2 ore).

I pazienti ASA 3 (con patologia sistemica di grave entità stabilizzata) potrebbero essere trattati invece in sedazione endovenosa profonda in respiro spontaneo o in anestesia generale attuata dall’anestesista in un setting ospedaliero (ospedale pubblico o clinica privata), con osservazione post-operatoria rispettivamente breve (day surgery) o notturna (degenza ordinaria).

Il compito dell’anestesista in questo caso è di stabilire il giusto piano di profondità dell’anestesia in rapporto alla situazione clinica più compressa di questi pazienti. Importante è il monitoraggio e l’eventuale somministrazione di farmaci diversi riguardo alle alterate condizioni cliniche.

Nella maggior parte di queste situazioni, i pazienti sono sottoposti ad unico intervento di odontoiatria chirurgica (di solito intenso, lungo e complesso), che prevede in un singola seduta (se vi è l’indicazione clinica) l’estrazione di tutti i denti e le radici residue ed una riabilitazione implanto-protesica totale ed immediata di entrambe le arcate dentali.

Pazienti non collaboranti

In questa categoria (scarsamente collaboranti e autonomi) rientrano una serie di pazienti con esigenze molto particolari:

  1. Pazienti con fobie
  2. Pazienti in età pediatrica (soprattutto nella prima infanzia)
  3. Pazienti con il riflesso faringeo accentuato

In ambito odontoiatrico esistono vari tipi di fobie:

  • Odontofobia (dentofobia): paura del dentista
  • Belonefobia (aichmofobia): paura dei pungenti e taglienti (aghi e bisturi)
  • Emetofobia: paura del vomito
  • Afefobia (aptofobia): paura del contatto fisico
  • Agliofobia (algofobia): paura del dolore
  • Iatrofobia: paura dei dottori
  • Anginofobia: paura del soffocamento (sensazione di costrizione della gola dovuta alla fuoriuscita inavvertita di anestetico locale in bocca durante l’anestesia)
  • Paura del senso d’intorpidimento dovuto all’anestesia locale
  • Ecc.

I soggetti odontofobici, che hanno la fobia del dentista, sono un gruppo di pazienti sempre più frequenti, che purtroppo presentano gravi distruzioni dei denti e che richiedono riabilitazioni totali e complesse.

In tali persone, il disturbo psichico viene esacerbato dalla sola rappresentazione mentale dello studio dentistico oppure da:

  • Vista degli strumenti odontoiatrici
  • Odore e sapore dei materiali dentali
  • Rumore e vibrazione dei manipoli (trapani)

I bambini molto piccoli, spesso anche di età inferiore ai 6 anni, affetti da sindrome da biberon con carie destruenti multiple, sono una tipologia di pazienti scarsamente collaboranti, che rappresentano spesso una grande sfida per l’odontoiatra.

Esistono, infine, i pazienti affetti da iperreflessia e da un riflesso faringeo accentuato (gag reflex), che impedisce al professionista di operare in bocca sia con le dita sia con gli strumenti odontoiatrici. In questi casi è enormemente difficile svolgere qualsiasi procedura odontoiatrica.

Pazienti totalmente non collaboranti

Pazienti che per fragilità e/o vulnerabilità sanitaria o disabilità psichica, fisica e/o sensoriale non sono in grado di collaborare alla prestazione sanitaria/odontoiatrica.

Gli accertamenti diagnostici ed i percorsi di cura vanno eseguiti in sedazione o in anestesia generale; la presa in carico richiede un ambiente clinico opportunamente attrezzato e personale adeguatamente formato. 

  1. Disabilità psichiche e cognitive (intellettuali)
  2. Disabilità fisiche e motorie (paralisi cerebrale, leucomalacia periventricolare, tetraparesi spastica, ecc.)
  3. Malattie neurologiche (Disturbi dello Spettro Autistico – DSA -, demenza di Alzheimer, ecc.)
  4. Disabilità sensoriali

Alcune di queste patologie sono molto diffuse e rappresentano un grave ostacolo alla cura della bocca e dei denti.

In Italia, ad esempio, si stima che 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenti un Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) con una prevalenza maggiore nei maschi: i maschi sono 4,4 volte in più rispetto alle femmine.

In Europa, si stima, invece, che la Demenza di Alzheimer rappresenti il 54% di tutte le demenze con una prevalenza nelle persone over 65 del 4,4%. La prevalenza di questa patologia aumenta con l’età ed è maggiore nelle donne, che presentano valori che vanno dallo 0,7% per la classe d’età 65-69 anni al 23,6% per le over 90.

Nella mia esperienza fanno parte di questa tipologia alcuni pazienti con disturbi mentali e cognitivi e con la Sindrome dello Spettro Autistico.

Comprendiamo in questa categoria anche bambini piccoli, normali dal punto di vista cognitivo, ma ipersensibili e reattivi, con la fobia degli aghi, del trapano e di tutto lo strumentario presente sulla poltrona odontoiatrica.

La situazione è complessa perché questi pazienti, oltre ad avere un grado di collaborazione pari a zero, non accettano in nessun modo alcun tipo di trattamento e possono anche diventare (in rari casi) sul momento aggressivi e molto difficili da gestire.

Comunemente queste persone non accettano alcuna somministrazione farmacologica iniettiva mediante l’uso di una siringa con ago (sottocutanea o intramuscolare o endovenosa) e molto spesso non acconsentono neppure alla richiesta di assumere per bocca alcun liquido “corretto” farmacologicamente, anche se addolcito.

I pazienti in età pediatrica presentano alcuni pro e alcuni contro. Per un verso sono più facilmente gestibili nella pratica da parte del team, perché piccoli e minuti, ma per contro esistono maggiore coinvolgimento emotivo e maggiore preoccupazione da parte dei caregiver (i familiari), pur essendo essi stati avvertiti preliminarmente della procedura che verrà eseguita ed alla quale devono dare il consenso.

All’opposto, invece, i pazienti di età adulta presentano, specie se di corporatura importante, una difficoltà pratica molto maggiore, in particolare se si deve far fronte a giovani adulti molto prestanti muscolarmente, che sono difficili da bloccare e che agitandosi possono essere pericolosi per i membri del team. Questa difficoltà pratica viene bilanciata per contro da un minore coinvolgimento emotivo e da una minore preoccupazione da parte dei familiari.

Entrambe le due tipologie di pazienti, pediatrici e adulti, necessitano pertanto di un team adeguatamente strutturato e formato.

Una volta che i caregiver (i familiari) hanno dato il consenso alla procedura, si procederà in questa maniera.

Il paziente viene fatto entrare nella recovery room con una maglietta leggera di cotone a maniche corte e viene bloccato per le braccia da due componenti del team; contemporaneamente e con grande rapidità, l’anestesista esegue una iniezione intramuscolare a livello della spalla (punto di inoculazione dei vaccini) di un farmaco tranquillante per indurre la sedazione.

Qualche volta, nel momento dell’iniezione, il paziente si agita, tende a scappare, si dimena, a volte strilla. Pertanto, è opportuno chiudere la camera, bloccarlo bene per quei 3-4 secondi necessari.

Questa situazione può provocare uno stress aggiuntivo nei caregiver e dei momenti di tensione tra loro e il team.

Questa tecnica in pratica indolore, ma coinvolgente dal punto di vista visivo, potrebbe sembrare “quasi violenta” per osservatori e persone non preparate, ma ogni azione è però diretta al bene del paziente e a una sua gestione efficace ed ottimale.

Per ridurre questo fenomeno sorpresa, la fase della preparazione pre-operatoria del paziente totalmente non collaborante deve essere spiegata adeguatamente ai caregiver prima del giorno dell’intervento.

Una volta eseguita l’iniezione, il team si allontana dalla recovery room nell’attesa di quei minuti necessari all’inizio della sedazione. I familiari rimangono a contatto con il paziente e con calma lo fanno accomodare in poltrona oppure sul letto, senza forzarlo.

L’anestesista rimane a stretto contatto visivo con il paziente e normalmente dopo 20-30’ dall’iniezione, quando lo ritiene opportuno in rapporto al grado di sedazione, procede all’incannulamento venoso.

Nei casi di bambini magri e delicati, avendo a disposizione più tempo, l’anestesista può addirittura evitare l’iniezione intramuscolare e procedere con l’iniezione sottocutanea, meno fastidiosa, usando aghi molto piccoli di diametro (25-27G) e quindi ancora meno percettibili.

In questo caso, ovviamente, i tempi d’inizio di sedazione si allungheranno leggermente e si passerà a volte ai 40’ di attesa. Anche qui, l’anestesista seguirà l’andamento della sedazione e sceglierà il momento adatto all’incannulamento venoso.

Una volta realizzato l’incannulamento venoso, se necessario, potranno essere eseguiti tutti gli accertamenti diagnostici pre-operatori (ECG, analisi del sangue e tampone rapido Covid-19).

Terminata questa fase preparatoria, l’anestesista insieme a due membri del team si occuperà di porre il paziente sulla barella e di trasferirlo in sala operatoria.